Abbiamo concluso l'anno con un'accesa discussione aperta da un collega, del quale posso comprendere lo stato d'animo nell'affrontare un nuovo corso, perché anch'io non essendo più ventenne mi ritrovo il mio piccolo bagaglio di esperienza che spesso mi porta ad una difficile apertura verso un metodo che apparentemente esula dalla mia visione dello studio. Questa discussione mi ha condotto alla decisione di scrivere questa "breve" testimonianza sul mio approccio al corso di Design.
Quando
mi ritrovai a dover riorganizzare la mia vita, dopo che speranze e
progetti erano volati per aria, allo stesso modo di come erano stati
costruiti, decisi di riprendere e completare quel percorso di studi
iniziato nel lontano 2001 e interrotto per seguire altre strade.
Ricominciai come un ventenne a seguire le lezioni, nuovi corsi e
nuovi docenti, appassionandomi un po' a tutto, riscoprendo cose che
avevo riposto e imparandone di nuove.
...Era il 2003 quando
seguii la prima lezione di un corso della professoressa Polidori e,
ovviamente, per lo studente che ero allora, scappai durante la pausa.
Me ne andai perché non trovavo corrispondenza tra le mie quattro ideuzze balzellanti nel mio cervello e quella che era l'offerta didattica del corso.
Probabilmente persi un'occasione.
Dieci anni dopo l'occasione si ripresentò.
Quando
appresi che, a seguito delle modifiche al piano di studi, al terzo
anno era stato inserito il corso di Design, non nascondo il
sentimento di voler nuovamente scappare per quel preconcetto che si
era creato nella mia mente: la visione di un ostacolo insormontabile,
qualcosa di assurdo ed impossibile...
Preconcetto che probabilmente è insito nella mente di decine di studenti, di tutti gli anni e per diversi corsi e docenti, che nasce principalmente dalla non voglia di andare a fondo alle cose, di impegnarsi ed apprendere. Troppo spesso ho notato grande apprezzamento per quei corsi e quei docenti che "regalano" esami con minimi sforzi, perché alla fine ci interessa (a tutti, a molti, anche a me) di più ottenere un "pezzo di carta" che ha un valore discutibile, piuttosto che apprendere, fare esperienza, conoscere e crescere. I "pezzi di carta" servono a poco (ma servono), sono le nostre capacità, adeguatamente sviluppate durante il percorso di vita, che fanno la differenza. Si può essere grandi geni, ma senza applicazione non si fa nulla, come si può studiare tantissimo per raggiungere l'esame senza capir nulla di ciò che si sta facendo, si porta a casa un 30 e dopo non rimane nulla.
“...
la
comunità spesso, per ignoranza o paura, è contraria alle
innovazioni. Il progetto è sempre un’operazione costosa,
soprattutto quando tocca tradizioni e interessi.
È come in guerra: bisogna avanzare un millimetro dopo l’altro,
cercando di retrocedere il meno
possibile (i compromessi necessari).
Tutti
gli uomini hanno la capacita di progettare. E tutti nascono uguali.
Per
questo affermo che la differenza fra me e chiunque altro è minima,
non piu di un 5 per cento fatto
di metodologie e conoscenze tecniche. Che non ho imparato dai libri o
dai manuali, ma strada facendo, coerentemente alle ragioni dell’anima.
Ho
passato la vita a fare progetti, più di duemila, ma credo ancora di
non sapere cosa sia il design.
So
di non sapere (come insegnava Socrate). E continuo ad aver voglia di
conoscere, ad appassionarmi
alla ricerca.
...
È
con la pratica, attraverso gli errori, i ripensamenti e i fallimenti,
che ho acquisito la competenza che
oggi mi viene riconosciuta.
...
Su
di essa ha influito anche il voler fare tesoro dell’esperienza di
coloro che ne avevano piu di me.
...
Ero
timidissimo: osservavo, ascoltavo, percepivo.
Un
giorno, avrò avuto 25 anni, stavo assistendo a una conferenza sul
design. Casualmente, mi ero seduto
a fianco di un signore anziano. Lo conoscevo bene per averne vista
pubblicata tante volte la foto,
ma non osavo rivolgergli la parola: era Adriano Olivetti. I discorsi
che sentivo non mi piacevano
affatto, mi agitavo sulla sedia ed ero palesemente insofferente.
Olivetti mi guardò con fare
bonario e, sorridendo, mi disse: ≪Se non ti piace quello che senti,
alzati e parla≫.
Quel
giorno non ne ho avuto il coraggio, ma nei mesi successivi ho seguito
il suo consiglio. E non ho
più smesso di parlare. O di fare prediche, come qualcuno sostiene.
Ho
iniziato a scrivere commenti, piccoli saggi, qualche libro. Non è il
mio lavoro, ma mi sono sentito
obbligato a farlo: un po’ perché, nella ridondanza generale, ho
capito che la qualità formale delle
cose che via via appassionatamente elaboravo non sarebbe riuscita a
≪parlare da sola≫. E poi perché
mi premeva trasmettere, al di là di questa o quell’occasione
specifica, la necessita di una visione
legata al grande numero, all’insieme degli individui. Con la
speranza di generare qualche scintilla
che ne innescasse il riscatto.”
(Enzo MARI, 25 modi per piantare un chiodo, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2011, pag. 7-8)
Prima di
scrivere i post, di leggere i libri e di leggere la bibliografia, ero notevolmente ignorante di quest'ambito, avevo visto qualcosa, ma
non sapevo nulla e ancora adesso dopo due mesi non so praticamente nulla. Non sapevo chi fossero Munari, Mari, Sottsass,
Pucci (uno dei padri della moda italiana e io che credevo fosse un
falso di Gucci) per non parlare di Tinguely... C'ho sbattuto la
testa, ho letto, mi sono documentato, ho scritto e oggi posso dire
che un po' li conosco e qualcosa mi hanno insegnato, che forse mi
servirà o forse no, non è questo il momento per stabilirlo, ma di
sicuro reputo importante l'aver conosciuto questi maestri.
Se non
avessi accettato la proposta di questo corso sarei rimasto dov'ero, e
com'ero, ignorante.
Quando mi
dovetti confrontare per la prima volta con la piattaforma, dire che
fu un'esperienza tragica è dire poco, non è facile, soprattutto
perché quello che vai a “produrre” deve essere fruibile da
tutti, cioè tutti devono poter leggere e capire di cosa stai
parlando e, cosa fondamentale, devono poter accedere alle risorse che
tu hai consultato per la tua produzione al fine di verificare se
siano attendibili o meno, se esiste una base di verità e soprattutto che tu non abbia omesso degli elementi che per altri potrebbero risultare importanti, quindi, consentire a qualcun'altro di potere, partendo dal tuo lavoro, elaborare un'altro. E' difficile, non lo nego, prende tempo, ma insegna
tantissimo. Ho scoperto il valore delle note bibliografiche.
Lavorando
sui post e seguendo le lezioni che venivano costantemente aggiornate (e quando dico costantemente è perché, da autore, mi è possibile seguire anche il lavoro della docente che è continuo e in movimento, non ci offre informazioni preconfezionate come tanti altri corsi),
ho scoperto un nuovo modo di studiare, apprendere e condividere. Un modo che chi, purtroppo,
si è voluto fermare al solo guardare da osservatore esterno,
difficilmente riuscirà a capire.
Le prime
lezioni mi avevano lasciato un senso, quasi, di vuoto, mi sembrava di
stare a perdere tempo, poi iniziai a riguardare il materiale, tornato
a casa, dopo la lezione, e tutto mi appariva più chiaro, cominciavo
a leggere anche le immagini.
La piattaforma è uno "scrigno" di informazioni preziose, che stimola la voglia di ricerca e facilita l'apprendimento. E' più pratica da utilizzare rispetto ai libri e per di più è nostra. Siamo noi che editiamo il nostro libro di testo. Non è un sito internet nel quale si vende qualcosa, non deve contenere effetti grafici di grande impatto, deve essere fruibile da tutti e stimolarci alla ricerca. Le informazioni non sono messe a casaccio, hanno un senso, per chi non l'avesse ancora trovato invito a perderci un'oretta riguardando le lezioni.
Se poi qualcuno avesse obiezioni del tipo: "Cosa mi interessa degli anni 60 se siamo nel 2014?", lo invito a far muovere i neuroni lungo le sinapsi e fare una bella riflessione su ampia scala...sicuro che ci riesce chiunque. La mia risposta a questa domanda è chiaramente descritta in una frase di Sottsass.
"Oggi voglio chiamarmi designer teorico
esattamente come c'è il fisico teorico che pensa alla fisica e non
al progetto per andare sulla Luna. Pensa e studia le leggi fisiche
che si incontrano e si devono conoscere andando sulla Luna."
Ettore Sottsass
(Museo Alessi, a cura del, Design Interviews. Ettore Sottsass, Corraini Editore, Mantova, 2008, Edizione Italiana, in copertina)
Capita
costantemente che io mi chieda: “A cosa mi serve?”oppure “Perché
lo faccio?”. Per il momento, come già detto, non mi do risposta, continuo a “correre dietro a qualcosa che non ho mai saputo cosa
fosse, come fosse, dove fosse” (E.Sottsass, Scritto di Notte,
Adelphi, Milano 2010, pag. 12).
Ricordo
che un mio amico perse due settimane di tempo per trovare un sistema
facile per superare il compito di Analisi Matematica 2 ad Ingegneria,
alla fine fu bocciato. La volta seguente studiò per una settimana quello che era previsto dal programma e
fu promosso, oltre ad aver imparato qualcosa e ad essersi appassionato di qualcosa che non gli andava giù prima.
Se
ci si mette a fare le cose, piuttosto che stare a perder tempo a
pensare e cercare tra infinite strade quella più facile da
percorrere, tutto diventa più semplice e anche divertente.
Sono
un timido e si vede, non sono un secchione e lo si può capire
facilmente, tantomeno un genio, eppure non ho avuto grandi
difficoltà o ansia da post o il terrore di essere giudicato e letto
da altri, mi sono lanciato e mi sono pure divertito, cosa che
raramente accade in altri corsi.
Se
qualcuno mi avesse detto, qualche mese fa, che al corso della
professoressa Polidori ci si diverte pure, gli avrei riso in faccia e
gli avrei dato del pazzo.
Mi
sono divertito a fare pure la ghirlanda natalizia, nonostante mi trovi più a mio agio ad assemblare le “sopresine
dell'uovo kinder" o i mobiletti di IKEA o quelli in vendita al
LIDL, ma mi sono rimesso a lavoro per capire quali siano stati i miei
errori e come risolverli, perché credo che una persona che si ferma
alla prima difficoltà e non prova ad affrontarla non crescerà mai.
Del 2013, tirando le somme, sono contento.
Non è stato un
anno di eventi bellissimi, anzi, ma sono contento per l'esperienza
acquisita, di aver avuto la possibilità di conoscere cose nuove, e
soprattutto di aver conosciuto nuovi colleghi, amici, compagni di
“corsa”.
Vorrei
ci fosse più tempo per conoscervi meglio tutti, come vorrei che le
lezioni di design potessero durare di più, perché è tempo
investito bene.
Per il 2014 mi auguro che la Professoressa Polidori non oscuri più le piattaforme, in molti ci siamo un attimino destabilizzati, perché ormai sono diventate qualcosa che ci "appartiene" e mi auguro possano diventare tali per tanti altri.
Questo
post non l'ho scritto per fare il “bravo studentello”, l'ho scritto principalmente e soprattutto per i miei
colleghi, per chi come me ha intrapreso questo percorso, per
chi ha intenzione di intraprenderlo, ma in particolar modo per quelli
che non sanno da dove cominciare o che vogliono mollare. Non perdete
delle opportunità, ma sfruttatele. Mi è stata data l'opportunità di essere autore e l'ho sfruttata anche in questo modo.
e dopo avervi abbondantemente annoiato, con la promessa che continuerò a farlo anche nel 2014...
...Auguro
a tutti un Nuovo Anno ricchissimo di opportunità da sfruttare.
Antonino Sinicropi
Sono ben espressi sia il profilo dell'autore che il soggetto innovativo del prodotto.
brava Alessia!
cp