doodle di Google dedicato a Gae Aulenti & Pipistrello |
bravissima! ripeto: post interessantissimo, magistrale, una chiave e resoconto del lavoro e l'esempio di Gae Aulenti e della nostra storia: ciò che siamo, che potremmo o dovremmo essere, ciò che non riusciamo ad essere. va in DEEPS Design: bibliografia di approfondimento.
inserisco il doodle di Google perché in aula a dicembre l'abbiamo, anzi l'avete ricordato: eravate in grado di riconoscere il riferimento. fu per me un momento di grande gioia e commozione.
cp
Gae Aulenti, architetto designer, donna
Foto 1 |
"La chiamavo la leonessa. La prima volta era capitato,
se non ricordo male, a un convegno o in un' intervista. Qualche giorno
dopo mi chiamò a Parigi. Sono la leonessa, mi disse con la sua voce arrochita
dal fumo. Ridemmo.”[...]Renzo Piano conobbe Gae Aulenti quando lei era al
Politecnico di Milano, assistente di Ernesto Nathan Rogers. "Erano i primi
anni Sessanta, io lavoravo già con Franco Albini, ma per la cattedra di
Composizione, tenuta da Rogers […].La incontrai allora". Una donna in un
mondo maschile. […] Avete mai lavorato
insieme? “No. Il suo stile in architettura non è il mio. Ma la considero
comunque una maestra per il suo metodo professionale, per la cura dei
materiali, del dettaglio. E poi per la sua presenza civica, per il modo in cui
le sue competenze erano al servizio di una causa civile” […] “E poi mancherà la
sua presenza civica. Il suo impegno politico, le sue battaglie per una città
giusta e pianificata?[…] “Direi che Gae aveva un tratto che andava oltre lo
schieramento politico. Era, appunto, civismo. Una virtù poco praticata. Forza
ed eleganza insieme. Una vera leonessa.”
(Francesco
Erbani, “Renzo Piano:
hanno provato a farci litigare ma per me lei sarà sempre la leonessa”, la
Repubblica, 02 novembre 2012, 38 sez. cultura http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/11/02/renzo-piano-hanno-provato-farci-litigare-ma.html
)
Gaetana
Aulenti, detta Gae, nasce in provincia di Udine, a Palazzolo
della Stella, il 4 dicembre del 1927, da una famiglia di origini meridionali,
papà commercialista di origini pugliesi e madre napoletana, Gae Aulenti inizia
a frequentare il Liceo artistico di Firenze, ma poi torna al Nord dove studia
privatamente. "Prestavo allora dei piccoli servizi alla Resistenza,[…]si
fidavano di me e qualche volta portavo fuori dai blocchi le missioni inglesi
fingendo di andare in camporella. A Biella ero amica di due sorelle ebree che
sparirono da un giorno all'altro. La coscienza civile nacque lì".(Da: Ansa, “Gae
Aulenti, le sue opere più famose”, Panorama, 02 Novembre 2012, http://cultura.panorama.it/arte-idee/gae-aulenti-morta-architettura-opere)
Una frase emblematica pronunciata dall'architetto Gae Aulenti,[…] che mostra, la sua ironia, la sua
grande umanità e la sua proverbiale timidezza. (Da: Espazium, “In ricordo di Gae Aulenti”, 01 novembre 2012, https://www.espazium.ch/archi/news/ricordo-di-gae-aulenti )
Foto 2
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Scomparsa
lo scorso novembre 2012 all’età di 84 anni, Gae Aulenti rappresenta una delle
figure centrali della ricerca architettonica della storia contemporanea. […]Maestra
della linea, la Aulenti si è distinta nel campo dell’allestimento e del
restauro architettonico, nell’architettura d’interni, specializzandosi in
design industriale, e in campo urbanistico. Allieva di Ernesto Nathan Rogers, aveva ereditato pienamente il suo
insegnamento, al punto da considerare arredamento e urbanistica come gli
estremi dell’attività di un architetto moderno. Non a caso l’attività della
‘Signora dell’Architettura’ ruotava attorno a queste due polarità ,ottenendo
riconoscimenti in entrambi i campi, dall’architettura, al design e alla
progettazione degli spazi. Alla fine degli anni ’60, l’architetto e designer
italiana firmava due negozi, a Parigi e
Buenos Aires, e cominciava così a
far conoscere nel mondo il suo nome e il suo stile, associandolo a una delle
aziende più illuminate del tempo, l’Olivetti.
Designer di grido, divenne scenografa di Luca
Ronconi, costumista per il Wozzeck
di Alban Berg alla Scala, musa di Karlheinz Stockhausen e alla fine venne
promossa “interior decorator” di casa Agnelli.
Severa e rigorosa, maschile nei tratti, i capelli tagliati come quelli
dell’Auriga di Delfi, in Francia la chiamavano la “Magicienne des formes”, miscelatrice di simmetrie e asimmetrie.”‘Dal particolare al generale, dal cucchiaio
alla città” era il motto del maestro Ernesto Nathan Rogers, e lo fece suo. (Di: Clara Salzano, “La mostra tributo di Gae Aulenti al
Triennale Design Museum”, 8 maggio 2013, http://www.fanpage.it/la-mostra-tributo-a-gae-aulenti-al-triennale-design-museum/
)
Dalla matita di Gae Aulenti sono nate opere come il Museo d’Orsay di Parigi.
Il museo parigino è famoso per tre motivi: uno perché ospita i maggiori esponenti dell’impressionismo pittorico come Edouard Manet, Paul Cézanne, Paul Gauguin, Claude Monet, Pierre-Auguste Renoir, Edgar Degas, Vincent Van Gogh. Il secondo motivo è perché si trova di fronte al famigerato Louvre. Il terzo perché è stato creato da un architetto italiano, un architetto donna. (Da: 9colonne, “Gae Aulenti, l’architettura è donna”, http://9colonne.it/adon.pl?act=doc&doc=50458#.UsWs1fTuJ8E )
Il museo parigino è famoso per tre motivi: uno perché ospita i maggiori esponenti dell’impressionismo pittorico come Edouard Manet, Paul Cézanne, Paul Gauguin, Claude Monet, Pierre-Auguste Renoir, Edgar Degas, Vincent Van Gogh. Il secondo motivo è perché si trova di fronte al famigerato Louvre. Il terzo perché è stato creato da un architetto italiano, un architetto donna. (Da: 9colonne, “Gae Aulenti, l’architettura è donna”, http://9colonne.it/adon.pl?act=doc&doc=50458#.UsWs1fTuJ8E )
Foto 4 |
Foto 5 |
Foto 6 |
(Da:
Leonardo, “Con Gae Aulenti se ne va un
simbolo dell'architettura italiana”, http://www.leonardo.tv/articoli/con-gae-aulenti-se-ne-va-un-simbolo-dellarchitettura-italiana/)
“Bisogna progettare per un senso collettivo, non per una blasfemia
individuale”
( Gae Aulenti, da: Alberto Apostoli, “86° Anniversario della nascita di Gae
Aulenti” , Il blog di Alberto Apostoli,
04 dicembre 2013,http://www.albertoapostoli.com/blog/news/86-anniversario-della-nascita-di-gae-aulenti)
G.L.R. Parliamo di design. Lunedì 3 maggio
nello studio del suo amico architetto Emilio Battisti si è parlato di design
con Alessandro Mendini, Alberto Meda e Enzo Mari […]Il primo ha dichiarato che Oggi il disegno industriale
non ha più alcun valore, di parere diverso Meda: Non è vero. L’oggetto
industriale riesce ancora ad emozionare. Il più critico è stato Mari: Il design
è finito, si è ridotto a quattro carabattole, non siamo capaci di fare più
niente, dobbiamo abbassare la testa, lo sguardo e lavorare, dobbiamo lavorare
come chi fa i prosciutti in una fabbrica, scendere dal piedistallo ed essere
concreti. Lei che cosa pensa del design di oggi?
G.A. Oggi i giovani lavorano molto, ma
lavorano sulle immagini… come le archistar. Fanno tutto in stile. È tutto decorazione,
non c’è più il disegno di una lampada o di una sedia prodotta dall’industria.
Insomma questo Novembre –Fabio Novembre,
designer e architetto nato a Lecce nel 1966 - ha fatto un culo di una donna – sedia Her, 2008 – ha in mente? Ecco
allora io gli dico vaffanculo… tu scrivilo, se vuoi. […]Credono di essere
furbi…
G.L.R. È una provocazione?
G.A.
No, è una stupidaggine. Va detto il nome vero di queste cose stupide. Sono
stupidaggini.
G.L.R. Come
dovrebbe essere il design di oggi?
G.A.
Vanno ricercate nuove forme, ma sempre pensando alla produzione, creare per
un senso collettivo delle cose, non per un senso di blasfemia individuale…
G.L.R. E rispetto a quello che hanno
dichiarato Meda, Mendini, Mari… lei come si colloca?
G.A. Mari è un vero studioso e quando
dice così protesta per come vanno le cose, però ha ragione. Mendini che è una
persona molto intelligente e simpatica, ha sempre tentato di emergere e
continuerà a farlo con la sua intelligenza e con le sue capacità.
G.L.R. Il disegno industriale esiste
ancora?
G.A. Non c’è più, ha perso un po’ il
senso. Guarda che c’è anche un’altra differenza. Noi per esempio prima eravamo
architetti che facevano design, oggi i designer non sono architetti quindi non
hanno il senso dello spazio, non hanno un senso… una lampada va disegnata per
uno spazio non per se stessa.
G.L.R. È
importante la multidisciplinarietà?
G.A. È ancora il contesto del design, è ancora una questione di contesto sia
fisico, nello spazio, che concettuale.
(Greta La Rocca, “Gae Aulenti -Bisogna progettare per un senso collettivo, non per
blasfemia individuale-” , 24 giugno 2010, http://www.immobilia-re.eu/gae-aulenti-bisogna-progettare-per-un-senso-collettivo-delle-cose-non-per-un-senso-di-blasfemia-individuale-2/ )
“La luce è impressionismo”
A. Di cosa dovremmo parlare?
R. Potremmo parlare di luce, di cultura della luce, di
luce e architettura di luce nell'architettura; tu lavori come designer e come
architetto che rapporto c'è tra le tue lampade e le tue architetture?
A. Mah ...io non ho quasi mai disegnato lampade da sole, le mie lampade sono una conseguenza, io ho sempre disegnato lampade per
luoghi specifici, alcune poi sono entrate in produzione...
R. Non hai mai disegnato
senza pensare ad un luogo?
A. Poco… ho
disegnato un sistema per uffici... i "Sistemi
Tre", ma tu non la ricorderai, in genere le mie lampade sono legate a
situazioni precise, a spazi e tempi di progetti d'architettura....
R. Allora sei una designer un pò casuale, un pò
occasionale rispetto agli specialisti della luce, ai tecnologi
dell'illuminazione...
A. Sì, anche se però c'è sempre alla base una
riflessione sull'uso che comporta una riflessione tecnica, come per questa
qui...
R. Quale?
A. Questa qui sul tavolo... si chiama... oddio non mi
ricordo.... si chiama Pietra, è una
luce che io considero una luce da ufficio,... non è una luce per lavorare, ma
una luce per "parlare" intorno ad un tavolo, perché non sempre si
lavora leggendo o scrivendo, si lavora molto anche parlando e allora ho pensato
a una luce da ufficio per illuminare discretamente un colloquio...
R. Pensi più partendo da situazioni che da prestazioni
tecniche o illuminotecniche?
A. Io penso che noi lavoriamo con tre cose: gli spazi, la luce soprattutto diurna, ma anche notturna, e l'architettura; poi c'è la luce come
disegno, come strumento di puntualizzazione architettonica e la luce come fatto
funzionale integrato come nei musei, dove fa parte della progettazione, non
solo del desiderio, ma della necessità.[…]
R. Qual'è la prima lampada che hai disegnato?
A. La "Giova"(foto 7)
che è un vaso su una lampada, una pianta sopra una luce, e poi la "Pipistrello" .
A. Perché?
R. La prima è una sovrapposizione di geometrie, tre bolle
tutte trasparenti, quasi purista, la Pipistrello è invece quasi espressionista,
molto disegnata un po’ neoliberty....
A. Neoliberty...mmh, non direi.
R. Dico neoliberty come rifiuto di linearità e di
geometrie fredde, in fondo è una lampada calda con le ali nere un po’
animalesche...[…]
R. Parlando di design di lampade hai detto che è morto
"l'abat-jour"...che cosa vuoi dire che non si può fare, non serve
più...?
Foto 11
|
R. Vuoi dire che spesso è più utile vedere poco per...
A. Per indovinare molto, per immaginare, se non vedi i
limiti di una stanza in penombra la puoi immaginare e sentire molto più grande.
R. Come ti senti rispetto all'evoluzione tecnologica nel
campo illuminotecnico[…]?
A. Non mi interessa tanto...voglio dire che
l'avanzamento tecnologico ha una sua necessità fondamentale ma non credo che
una attenzione preminente a questo mondo faccia automaticamente nascere forme
nuove. […]E poi credo che il vero protagonista involontario di questo
"avanzamento" tecnologico sia il
dimmer...
R. Il dimmer?
A. Sì perché con le nuove tecnologie è tale la quantità
di luce che può uscire da queste microlampadine che alla fine è sempre troppa a
allora giù coi dimmer per ridurla perché abbaglia è troppo sparata, si vedono
le rughe in faccia, non aiuta la concentrazione... e invece il progetto
luminoso è un progetto di mediazione, di sottrazione.
R. Quindi vorresti fare lampade che fanno poca luce?
A. Vorrei fare delle lampade che anche se ne fanno un po’
meno vadano bene lo stesso.
R. Come ti muovi tra i due estremi contemporanei del
design minimale e di quello espressivo estroverso?
A. Dunque, io cose minimali è molto difficile che ne
faccia perchè io non ricerco il minimalismo ma semmai la semplicità che è una
cosa molto differente. Voglio dire che non è che con delle forme espressive tu
non riesca a raggiungere la semplicità, anzi io credo che questa sia la cosa
più difficile e più bella da raggiungere. Il minimalismo non mi interessa e non
mi appartiene perchè io ritengo che un oggetto debba parlare forte di un
linguaggio possibile per raggiungere il maggior numero di persone...anche se
poi ne raggiunge sempre la metà.
R. Però il tuo tavolo
di vetro con le ruote è minimale , è quasi un azzeramento di linguaggio,
come lo spieghi?
A. Non lo spiego, è un'idea che quasi non ho cercato e
stata l'intuizione di un giorno che in fabbrica in Fontana Arte ho visto trasportare le lastre di vetro su dei piani
di legno con ruote industriali, e ho pensato che si poteva togliere il legno e
c'era un tavolo già fatto, è stato quasi obbligatorio, direi un atto di
"non disegno" non un disegno minimale voluto. Infatti non ho mai
fatto più niente di simile; perché ho una attitudine più sperimentale legata
alle cose, al vedere cosa succede lavorando su materiali diversi , sia vecchi
che nuovi... La mia caratteristica è quella di disegnare molto, forse troppo,
mentre il minimalismo è concettuale lavora più sulle idee quasi che la materia
sia un accidente... […]
R. E la casa?
A. Cosa vuoi sapere?
R. Nella casa nell'ambiente domestico come entra la nuova
tecnologia, l'evoluzione illuminotecnica? in fondo la vera rivoluzione nel
design l'hanno fatta le lampadine.
A. Non saprei, io continuo a pensare che le nuove
lampadine hanno anche deformato il discorso luminoso nelle case trasformandole
in uno spazio con tanti punti di luce, che mi ricorda un po’ le processioni, le
madonne; tante luci diverse come se per ogni funzione ci debba essere la
lampadina, mentre poi sappiamo che una stessa luce cambia a seconda di quello
che gli mettiamo attorno. Per esempio io ho sempre odiato quei faretti tecnici
americani direzionali, che illuminano per punti invece di diffondere; appunto
il contrario di quello che fa l'architettura con la luce. Io sono contro
l'abbagliamento e tanto più nella vita quotidiana mi sembra che certe nuove
luci hanno trasformato nei salotti la conversazione in un interrogatorio. […]
R. Insomma non bisogna dimenticare la vecchia tapparella?
A. Meglio ancora la persiana, è più semplice, e
ricordarsi che di giorno una finestra è una bellissima lampada.
(Da: Franco Raggi, "Architettura e luce mediata. " Colloquio tra Gae Aulenti e
Franco Raggi sulla luce in architettura, il neoliberty, i musei, il
minimalismo, il teatro e le persiane”, 23 maggio 1991, http://www.apilblog.it/wp-content/uploads/2012/11/Intervista-Gae-Aulenti1.pdf )
Lampada
Pipistrello
Il progetto della Pipistrello partì in sordina e per un anno rimase nei cassetti di Elio Martinelli. Difficile infatti, secondo i resoconti di Emiliana (la figlia di Elio) risultava l'industrializzazione del fusto telescopico, così come la forma complessa delle falde del diffusore, ad ali di pipistrello, che non era facile realizzare per gli stampaggi dell'epoca
Esemplare nella lampada della Martinelli l'approccio
che Gae usava nella progettazione. Mai ‘regolare’ e con l'introduzione ogni
volta di linguaggi nuovi, sorprendenti, spesso spaesanti. Nel progetto,
dimostra di saper tessere legami sottili con il passato, inserendo nel
contempo, elementi di discontinuità.
Foto 9 |
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Foto 10 |
Il punto di partenza era l'archetipo costituito dal
modello delle abat-jours Tiffany (foto 11) e
quelle pre-Bauhaus, che però
stravolge. Il risultato raggiunto appare stupefacente, perché la
linea della lampada esprime una modernità ‘diversa’ ed inaspettata, affatto
convenzionale: l’andamento sinuoso, curvilineo, vagamente flamboyant del fusto
telescopico e del ‘cappello’, effettivamente non può non ricordare il profilo
di alcune lampade liberty. Il risultato, come dicevamo, è qualcosa di mai visto
prima; eppure con la Pipistrello, c'è da riconoscere che mai lampada moderna fu
più neoliberty.
Foto 13 |
Recentemente, il designer friulano concordò con la Martinelli
alcune variazioni della lampada - divenuta nel frattempo un'icona - con la base
in finitura alluminiocromato lucido, satinato e rosso carminio, mentre la sua
riprogettazione in scala minore, l'attuale Minipipistrello,
(foto13) è del
tutto estranea all'architetto friulano, che a causa dell'aggravamento delle
condizioni di salute, non fu informata. Un'attenzione
alla funzionalità della Pipistrello originaria, che si rivela versatile per il
suo doppio utilizzo, sia come lampada da appoggio che come lampada da terra e
da lettura qualora si fosse sollevato il fusto attraverso il pomello imitante
un bulbo ad incandescenza posto sulla sommità del diffusore.
Foto 15 |
Foto 16 |
foto 18 |
Fonti foto
-9 -10 -11 -13 -15 -16 -18 http://www.arredamento.it/forum/viewtopic.php?f=28&t=113970
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